Plastica monouso: gli italiani la bocciano

Ogni anno nel mondo vengono prodotte 460 milioni di tonnellate di plastica, di cui il 60% è usa e getta. Questa quantità enorme di plastica monouso contribuisce in modo significativo all’inquinamento dei mari e degli oceani, dato oltre il 70% dei rifiuti plastici che finiscono in questi ambienti è di questo tipo. E’ evidente che non è più possibile continuare così.

Solo il 9% dei rifiuti plastici viene riciclato

Con solo il 9% della plastica riciclata a livello globale, diventa evidente che è urgente un cambiamento drastico e rapido. La soluzione deve partire dal divieto globale della plastica monouso. Infatti è proprio questo l’argomento centrale nel quarto negoziato sul Trattato sull’inquinamento da plastica che si tiene in Canada, a Ottawa, dal 23 al 29 aprile.

I cittadini del mondo favorevoli al divieto

La maggior parte dei cittadini è favorevole a questa misura: secondo un recente sondaggio condotto da Ipsos per il WWF su un campione di 24 mila persone in 32 Paesi, compresa l’Italia, l’85% ritiene che la plastica monouso debba essere vietata. Gli italiani, in particolare, supportano il divieto delle sostanze chimiche nocive utilizzate nella produzione della plastica (87%) e dei prodotti in plastica difficilmente riciclabili (84%).

Tuttavia, c’è una consapevolezza diffusa che i divieti da soli non saranno sufficienti a fermare l’inquinamento da plastica monouso. La maggioranza delle persone intervistate sostiene la necessità di riformare il sistema attuale di produzione e riciclo della plastica per garantire il riciclo e il riutilizzo sicuro.

Bisogna investire in sistemi di riutilizzo

Gli intervistati italiani (83%) ritengono necessario che i produttori investano in sistemi di riutilizzo della plastica, mentre il 67% è d’accordo sul garantire a tutti i Paesi accesso ai finanziamenti, alle tecnologie e alle risorse necessarie per affrontare il problema. L’87% degli intervistati a livello globale (83% degli italiani) ritiene che sia necessaria una riduzione complessiva della produzione di plastica.

I risultati del sondaggio Ipsos confermano la richiesta di norme vincolanti per trasformare radicalmente il settore della plastica.

Necessarie norme globali vincolanti

Il summit a Ottawa è cruciale per discutere il contenuto del Trattato globale sull’inquinamento da plastica. La maggioranza degli Stati concorda sull’importanza di norme globali vincolanti lungo l’intera catena del valore della plastica, ma c’è ancora opposizione da parte di una minoranza che privilegia il profitto a discapito dell’ambiente.

Norme globali vincolanti permetterebbero ai Governi e alle aziende di operare seguendo gli stessi standard, incoraggiando allo stesso tempo l’innovazione e gli investimenti lungo tutta la catena del valore della plastica per affrontare efficacemente l’inquinamento.

La tentazione del tralasciare, il “peccato” della società dell’indifferenza

In un mondo in cui alla sovrabbondanza dei mezzi corrisponde un deficit di fini, è diffusa una forte dose di indifferenza, per cui vince l’attitudine al ‘tralasciare’, una sorta di peccato di omissione. A cinquant’anni dal convegno diocesano su ‘I mali di Roma’ del febbraio ’74, il Censis ha realizzato una ricerca dal titolo ‘La tentazione del tralasciare’, di cui emerge  chiaramente come oggi il male di cui occuparsi è l’assenza del senso di comunità, il soggettivismo indifferente.

Infatti, al 66% degli italiani non piace la società in cui vive, e la percentuale sale drammaticamente al 72% tra i giovani. Solo il 15% sente di appartenere pienamente a una comunità al di là della propria famiglia.

L’assenza di comunità

Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: viviamo in una società fortemente soggettivista, ma con soggetti deboli, molto individualista, ma con una scarsa forza di affermazione individuale, parecchio egoista, ma fatta di ego fragili. 

Tanto che più della metà dei giovani non si sente parte di una comunità, e di questi 3 su 4 non ne sentono neanche la mancanza. La percentuale di chi si riconosce pienamente in una comunità sale solo al 37% anche tra i cattolici praticanti.
Lo scarso senso di appartenenza a una comunità si sposa con la sensazione di contare poco nell’ambiente in cui si vive. Questo vale per il 48% degli italiani (60% giovani).

Spiritualità e altruismo 

Complessivamente, però, per il 72% degli italiani la sfera spirituale è importante. Il 56% si sente parte del cammino dell’umanità, il 55% si interroga sul senso profondo della vita, il 54% avverte la mancanza di qualcosa che i beni materiali non possono dare.

Tuttavia, il 53% ritiene che il cammino interiore sia una esperienza soggettiva, da vivere individualmente, non in modo condiviso. E solo per il 19% una vita degna di essere vissuta è quella in cui si fa del bene agli altri.
Resta però un 28% di persone che coltivano la loro spiritualità partecipando ai riti religiosi secondo la propria confessione.

La parabola dei talenti e la parabola del buon samaritano

Solo il 18% degli italiani ritiene di non avere nulla da rimproverarsi. Il 64% pensa invece di non avere messo a frutto adeguatamente i propri talenti (percentuale che sale al 70% nell’età di mezzo, tra i 45 e i 65 anni). Appena il 18% si rammarica di non avere fatto di più per gli altri.

Insomma, la parabola dei talenti fa riflettere più della parabola del buon samaritano. Poi però il 64% prova sensi di colpa, soprattutto a causa del proprio egoismo.
“Dietro ogni momento di indifferenza tralasciante c’è una dinamica psichica che rinvia agli atteggiamenti soggettivi qui richiamati – commenta Giuseppe De Rita, presidente del Censis -. Riprendere oggi il filo del ’74 significa approfondire non più i mali di Roma, ma il cruciale male del soggettivismo indifferente”.

Abbandoni scolastici e cervelli in fuga: un allarme tutto italiano

Con sempre meno giovani, di cui molti con un livello di istruzione insufficiente, per tante Pmi trovare personale preparato nel prossimo futuro sarà una missione impossibile. 
Lo sostiene l’Ufficio studi della CGIA: in Italia nel 2022 i giovani che hanno abbandonato la scuola prematuramente sono stati 465.000, l’11,5% della popolazione tra 18-24 anni, mentre i cosiddetti “cervelli in fuga” dal nostro Paese per trasferirsi all’estero sono stati 55.500. 

I primi sono 8 volte in più dei secondi, ma mentre la dispersione scolastica non è ancora avvertita come una piaga educativa dal costo sociale spaventoso, la fuga all’estero di tanti giovani lo è.
Se a queste specificità che caratterizzano il mondo giovanile si aggiungono la crisi demografica e la rivoluzione digitale, tutto ciò avrà inevitabili ricadute anche per le imprese.

Pochi diplomati e laureati ed elevata povertà educativa

L’Italia, rispetto ai principali Paesi dell’Unione, nel campo dell’istruzione/formazione scolastica presenta due problemi. Il primo è dovuto a un basso numero di diplomati e laureati, soprattutto in materie scientifiche.
Il secondo, riguarda un’elevata povertà educativa che secondo gli esperti, va di pari passo con la povertà economica.

Le cause che determinano la “fuga” dai banchi di scuola sono principalmente culturali, sociali ed economiche. 
I ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e famiglie con basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi che li porta a conseguire almeno il diploma di maturità. 

Colpa di un’offerta formativa insoddisfacente?

Va altresì segnalato che talvolta, l’abbandono scolastico può essere causato da una insoddisfazione per l’offerta formativa disponibile.

In questo, senso si sottolinea il lavoro inclusivo svolto dagli istituti di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), realtà diventate nel tempo un punto di riferimento per gli allievi di nazionalità straniera, per quelli con disabilità e per gli studenti reduci da insuccessi scolastici precedenti.
Scuole che spesso operano in aree caratterizzate da un forte degrado urbano e sociale, ma che grazie allo straordinario lavoro antidispersivo svolto, andrebbero sostenute con maggiori risorse. 

Peggio di noi solo Spagna e Germania

A livello territoriale sono le regioni del Sud che presentano i livelli di abbandono scolastico più elevati. Pertanto, dal confronto tra la dispersione scolastica e la “fuga di cervelli” è la Campania a presentare il gap più elevato (la prima è numericamente 16 più grande della seconda). Seguono Puglia e Sicilia (14), e Toscana e Sardegna (8). 

Sebbene la fuga dai banchi di scuola sia in calo in tutta Europa, tra i 20 Paesi dell’Eurozona nel 2022 l’Italia era al terzo posto per abbandono scolastico dei giovani tra 18 e 24 anni (11,5%). Solo la Spagna (13,9%) e la Germania (12,2%) presentavano un risultato peggiore del nostro (media dell’area Euro 9,7%).

Bonus ristrutturazione 2024, conferme e novità 

Il bonus ristrutturazione, l’agevolazione destinata a chi effettua lavori di riqualificazione dei propri immobili, è stata decisamente ben gradita dagli italiani. E fortunatamente rimane in essere anche per il 2024. In linea generale, valgono le medesime regole degli anni passati, a cominciare dalla detrazione fiscale fissata al 50% sulle spese sostenute entro il 31 dicembre per lavori di riqualificazione edilizia, manutenzione straordinaria e ordinaria per condomini, con un limite massimo di 96.000 euro per unità immobiliare.

Questa agevolazione consente un rimborso IRPEF spalmato in 10 anni, da richiedere mediante la dichiarazione dei redditi tramite modello 730 o Redditi Persone Fisiche.

Le detrazioni per chi acquista un nuovo arredo

Il bonus permette inoltre di beneficiare di detrazioni anche per l’acquisto di mobili o grandi elettrodomestici a patto che rispettino specifici requisiti energetici, con uno “taglio” del 50% sulle spese sostenute dopo l’avvio dei lavori, fino a un massimo di 5.000 euro. Anche in questo caso, la detrazione va spalmata nell’arco di  10 rate annuali di paro importo.

Quali lavori?

I lavori che consentono l’accesso al bonus ristrutturazione includono interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia su parti comuni di edifici residenziali o su singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, oltre ai lavori realizzati in economia e in proprio e le spese sostenute per l’acquisto dei materiali.

La comunicazione all’Enea 

È fondamentale inviare una comunicazione all’ENEA entro 90 giorni dalla fine dei lavori per gli interventi finalizzati al risparmio energetico, pena la perdita delle agevolazioni fiscali. Questo adempimento è richiesto per quei lavori che rientrano nell’ecobonus, come l’installazione di infissi o impianti tecnologici.

Per ottenere il bonus, i pagamenti devono essere effettuati tramite bonifico bancario o postale contenente i dati specifici dei lavori e del beneficiario della detrazione. È possibile usufruire dell’agevolazione anche per pagamenti effettuati tramite finanziamento, prendendo come riferimento la data di pagamento fatta dalla finanziaria.

I documenti da conservare

Infine, è fondamentale conservare una serie di documenti in caso di controlli, tra cui fatture, ricevute fiscali, abilitazioni amministrative, documentazione relativa agli immobili e comunicazioni preventive all’ASL, se necessarie. 

Nel caso in cui gli immobili non siano ancora stati inseriti nel catasto, dovrà essere presentata la domanda di accatastamento. Dovranno inoltre essere presentate, qualora l’imposta sia dovuta, le ricevute di pagamento dell’IMU. La mancata presentazione di questi documenti, se richiesti, potrebbe compromettere il diritto alle agevolazioni fiscali.

Made in Italy: gli italiani disposti a spendere anche il 20% in più

È quanto emerge dalla ricerca condotta da Teleperformance Knowledge Services e commissionata da Made in Italy, il progetto rivolto alla valorizzazione delle eccellenze italiane: per un prodotto Made in Italy gli italiani sono disposti a spendere anche il 20% in più. Di fatto, se il valore del brand Made in Italy è sempre più riconosciuto in tutto il mondo, gli italiani sono disposti a pagare qualcosa in più per avere prodotti autentici e di qualità.

La ricerca è stata presentata ad Ancona nel corso del roadshow ‘Tradizione e innovazione Made in Italy – I protagonisti si raccontano’, tenuto presso la sede di Confindustria, ed è stata eseguita su un campione di 2mila italiani tra i 18 e 65 anni, rappresentativo della popolazione per genere e area geografica.

Tutto il processo produttivo deve svolgersi in Italia

La fase del processo produttivo ha un impatto molto forte nella connotazione del Made in Italy. Secondo l’85% degli intervistati il prodotto deve essere infatti creato da una azienda italiana in cui tutto il processo produttivo si svolga in Italia. E i settori food (78%) e fashion (69%) dominano la classifica di quelli maggiormente associati al Made in Italy.

Nelle Marche la ricerca ha evidenziato un forte interesse per l’adozione di nuove tecnologie nell’ambito della produzione e del processo produttivo. Questo dimostra un chiaro impegno nell’innovazione per mantenere e rafforzare la competitività nel mercato globale.
Inoltre, l’indagine ha messo in luce un forte legame emotivo e culturale a livello regionale con l’industria manifatturiera, con un’enfasi particolare sulla pelletteria, settore storico e di grande rilievo economico per le Marche.

“Uno stile affermato in tutto il mondo e al quale non vogliamo rinunciare”

I marchigiani, però, si dicono disposti a spendere fino a un 17% in più per un prodotto Made in Italy, percentuale leggermente sotto la media nazionale, ma che dimostra comunque di dare valore ai prodotti realizzati sul territorio italiano.

“L’indagine conferma che il Made in Italy è uno stile affermato in tutto il mondo e al quale, nonostante una crescente concorrenza con cui ci si confronta sul piano del costo o della imitazione, non vogliamo rinunciare, consapevoli del suo valore in termini di qualità e creatività”, ha evidenziato Roberto Sartori, founder di Made in Italy”.
Secondo Gabriele Albani, ceo di Teleperformance Knowledge Services, la ricerca conferma come il Made in Italy sia “soprattutto generazione di valore per l’economia nazionale”

Approfittare delle opportunità offerte dal PNRR per rafforzare le competenze

L’obiettivo del roadshow, pensato da Roberto Santori, è stato quello di favorire lo scambio di idee per creare valore per il business e il sistema Paese, facendo leva sulle competenze del Made in Italy.

Il neo rettore dell’Università di Camerino, Graziano Leoni, ha concluso i lavori con una riflessione su come le aziende possono approfittare delle opportunità offerte dal PNRR per rafforzare le competenze, soprattutto in ambito di ricerca e tecnologia, e valorizzare i giovani talenti, riporta ANSAcom, in collaborazione con Challenge Network.

Formazione permanente, perchè oggi fa la differenza a livello personale e professionale?

Viviamo in un’epoca in cui il cambiamento è la costante principale. Tecnologie innovative, nuovi modelli di business e sfide globali stanno trasformando rapidamente il nostro mondo. In questo contesto così dinamico, la formazione continua risulta essere la chiave fondamentale per adattarsi alle novità e per emergere.

Il contesto attuale

L’accelerazione della tecnologia ha portato a una rapida obsolescenza delle competenze così come le conoscevamo. Ciò che è rilevante oggi potrebbe non esserlo domani. Le professioni emergenti richiedono una combinazione di abilità tecniche e soft skills che non erano considerate essenziali in passato. La globalizzazione e l’interconnessione delle economie rendono cruciale la comprensione delle dinamiche internazionali e delle diverse culture.

L’adattamento come necessità

In un mondo in costante evoluzione, chi si ferma è destinato a rimanere indietro. La formazione continua non è più solo una scelta, ma una necessità. Adattarsi richiede un impegno costante nell’acquisire nuove competenze e conoscenze, così come nell’aggiornarsi su quelle esistenti. Questo atteggiamento proattivo è fondamentale per mantenere, e migliorare, la propria posizione professionale e personale.

Lavoro, imparare è fondamentale

Le organizzazioni e le aziende che abbracciano la cultura della formazione continua godono di una maggiore flessibilità e adattabilità. Offrire opportunità di crescita e formazione ai dipendenti non solo li aiuta a crescere professionalmente, ma migliora anche la produttività e la soddisfazione in azienda. I dipendenti motivati ​​a imparare sono spesso più creativi e pronti ad affrontare sfide complesse.

Strumenti tecnologici a supporto dell’apprendimento

La tecnologia ha reso l’apprendimento più accessibile che mai. Piattaforme online, corsi digitali e risorse interattive offrono opportunità di apprendimento flessibili e personalizzate. La gamification e l’uso della realtà virtuale stanno trasformando l’esperienza di apprendimento, rendendola più coinvolgente ed efficace.

Conclusione

In conclusione, la formazione continua è diventata il pilastro su cui si basa il successo individuale e organizzativo. Abbracciare l’idea che “c’è sempre da imparare” è fondamentale per navigare con successo nel mondo complesso e imprevedibile di oggi. Che si tratti di acquisire nuove competenze tecniche, migliorare le soft skills o comprendere meglio il contesto globale, investire nell’apprendimento è un investimento prezioso sul proprio futuro. 

Navigare in Internet: le 7 abilità indispensabili che i meno esperti devono imparare

Parola dell’esperto: acquisire familiarità con alcune competenze tecnologiche di base può rendere la navigazione sul web meno intimidatoria, e più sicura, a chi è meno avvezzo al mondo online e alla tecnologia in generale. In un mondo sempre più digitalizzato, chi non è particolarmente esperto di tecnologia può sentirsi a disagio o emarginato. Ma niente paura: Jason Adler, esperto tech presso Repocket, ha spiegato quali sono le 7 competenze internet che tutti dovrebbero conoscere per navigare con maggiore sicurezza e confidenza. 

Scegliere il browser

Secondo Adler la prima competenza da acquisire riguarda il browser di navigazione. Imparare a usare il browser è infatti il primo passo per poter navigare su internet. Conoscere funzioni come aprire nuove schede, salvare i siti preferiti, eliminare la cronologia e gestire le impostazioni può migliorare significativamente l’efficienza online.

Ma quali sono i browser principali?
Se Google Chrome domina il mercato con 2,6 miliardi di utenti nel 2023, esistono anche ulteriori valide alternative, Safari e Firefox, oltre, ovviamente, a Edge di Microsoft.

Saper usare i motori di ricerca e utilizzare sempre password complesse

Saper usare i motori di ricerca come Google o Bing non riguarda solo i veterani di internet. Imparare a selezionare le parole chiave corrette e a usare gli operatori booleani (AND, OR, NOT) può rendere le ricerche più precise e veloci, risparmiando fino al 25% del tempo impiegato per cercare un’informazione.
Non meno importante è prestare attenzione alla sicurezza delle password.

Con oltre 23,2 milioni di violazioni dei dati causate da password deboli, la sicurezza degli account inizia da una password forte.
Utilizzare gestori di password affidabili può non solo aumentare la sicurezza e la protezione dei dati personali, ma anche risparmiare tempo prezioso.

Gestire privacy e sicurezza, ricercare tramite immagini e saper risolvere i problemi più comuni 

Con l’aumento delle minacce informatiche, conoscere le impostazioni di privacy di base e adottare buone pratiche come evitare di aprire e-mail sospette e mantenere aggiornato il software è cruciale per proteggersi online.
Molti poi non sanno che è possibile effettuare ricerche su Google tramite immagini. Si tratta di una funzionalità utile per trovare prodotti o informazioni quando le parole non sono sufficienti.
In ogni caso, essere in grado di affrontare problemi come risolvere il blocco delle pagine o i tempi di caricamento lenti, spesso risolvibili riavviando il dispositivo o svuotando la cache, è fondamentale per un’esperienza online più fluida.

Conoscere le scorciatoie da tastiera può trasformare l’esperienza online

Anche se non utilizzabili sugli smartphone, conoscere alcune scorciatoie da tastiera, ovvero la pressione di due o più tasti contemporaneamente per richiamare una determinata operazione, può far risparmiare fino a 64 ore di tempo all’anno, rendendo la navigazione più efficiente e meno dispendiosa in termini di tempo.

Insomma, queste competenze di base possono trasformare l’esperienza online, rendendola meno complicata e più accessibile.
Con la pratica, internet diventerà sicuramente uno strumento meno intimidatorio e più utile anche a chi è poco esperto di internet e tecnologia.

Italia, il mercato dell’Intelligenza Artificiale cresce del 52% in un anno 

Il mercato italiano dell’Intelligenza Artificiale (IA) ha registrato nel 2023 una crescita straordinaria. L’incremento rispetto all’anno precedente è del+52% e il valore oggi raggiunto tocca i 760 milioni di euro. Questo dati sono ulteriormente in crescita  rispetto al +32% registrato nel 2022, confermando un trend in forte ascesa.

La ricerca condotta dall’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano sottolinea che gli investimenti sono principalmente concentrati sulle soluzioni di analisi testuale e interpretazione semantica, con particolare attenzione alla ricerca semantica, classificazione e agenti conversazionali tradizionali. Tuttavia, i progetti di Generative AI rappresentano solo il 5%: su questo tema c’è un interesse ancora limitato, ma in crescita.

Diffusione dell’IA nelle imprese italiane

Nel nostro Paese, sei grandi imprese su dieci hanno avviato progetti di IA, anche solo a livello sperimentale. Sorprendentemente, due su tre hanno discusso internamente delle applicazioni della Generative AI, e una su quattro ha già intrapreso una sperimentazione (sono il 17% del totale).

La ricerca rivela inoltre che quasi tutti gli italiani (98%) hanno sentito parlare di Intelligenza Artificiale, ma solo il 57% conosce il termine “Intelligenza Artificiale Generativa”, evidenziando qualche “vuoto” di conoscenza.

Percezione e timori nei confronti dell’IA 

Nonostante gli italiani vantino un elevato grado di conoscenza dell’IA – il 29% ne ha addirittura una conoscenza medioalta – , il 77% della popolazione guarda all’IA con timore. Questa preoccupazione è principalmente legata agli impatti potenziali sul lavoro, con il 17% che è fermamente contrario all’ingresso dell’IA nelle attività professionali.

Tuttavia, l’analisi evidenzia che l’IA ha già un potenziale di automazione del 50% dei “posti di lavoro equivalenti” in Italia, una prospettiva che potrebbe coinvolgere 3,8 milioni di persone entro dieci anni.

Impatto sul lavoro e necessità di adattamento

Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence, sottolinea che, considerando le previsioni demografiche e l’invecchiamento della popolazione, l’automazione di 3,8 milioni di posti di lavoro equivalenti potrebbe essere una necessità per risolvere il crescente gap occupazionale. Tuttavia, avverte che solo prestando attenzione alle esigenze dei lavoratori, alla formazione e alla giusta redistribuzione dei benefici, la società potrà trarre realmente valore dallo sviluppo dell’IA.

L’adozione nelle aziende

Il 90% del mercato dell’IA in Italia è dominato dalle grandi imprese, mentre il restante 10% è equamente diviso tra PMI e Pubblica Amministrazione. Le soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati rappresentano il 29% del mercato, seguite da progetti di interpretazione del linguaggio (27%), algoritmi di raccomandazione (22%), analisi di video ed immagini (10%), sistemi di orchestrazione dei processi (7%) e Generative AI (5%).
La spesa media in IA per azienda vede in testa Telco-Media e Assicurazioni, seguite da Energy, Resource & Utility e Banche e Finanza. Infine, i numeri: il 61% delle grandi imprese ha almeno un progetto di IA in fase sperimentale, mentre le PMI si attestano al 18%, con un aumento del 3% rispetto al 2022. 

La Generazione Z e i social, tra intrattenimento e creatività

Sono 24mila ragazzi, tra 12 e 20 anni, ad avere partecipato all’indagine effettuata da Webboh Lab, il primo Osservatorio digitale permanente dedicato alla Gen Z, creato da Webboh e dall’istituto di Ricerca Sylla.
Dalla ricerca emerge che la Gen Z non è un monolite, anche nel suo rapporto con i social. Anche se i media tendono a semplificare e sintetizzare, in realtà, non esiste un’unica Generazione Z.

I risultati del report hanno infatti consentito di profilare cinque atteggiamenti dei giovani utenti: Meme Maestro (40%), Creative Explorer (18%), Like Lover (17%), Social Soul (14%) e Digital Dreamer (11%). 
Il primo, Meme Maestro, considera i social media una forma d’intrattenimento, come meme e video virali. Questo profilo condivide aspetti della propria vita e interessi, e si collega con i suoi coetanei per trarre ispirazione riguardo ai prodotti di tendenza.

Creative Explorer e Like Lover 

Creative Explorer è invece il profilo che utilizza i social media come una piattaforma per esprimere la propria creatività attraverso foto, scrittura e arte. È composto da giovani a cui piace esplorare e approfondire i propri interessi, ma anche scoprire nuovi argomenti, condividere informazioni, promuovendo cause sociali e cercando aiuto e supporto.

Like Lover è il profilo di chi è appassionato di social media e cerca gratificazioni attraverso i feedback positivi, come i like e i commenti.
I giovani appartenenti a questo profilo utilizzano i social come una fuga dalla routine quotidiana, seguendo e contattando i propri idoli e creator preferiti per sentirsi parte di un mondo diverso.

Social Soul e Digital Dreamer

Social Soul è il profilo del giovane social media enthusiast che sfrutta principalmente le piattaforme per instaurare relazioni e conoscere nuove persone, maa anche per avere consigli e scoprire nuove passioni. Mentre Digital Dreamer è il profilo che racchiude gli aspetti di tutti i profili precedenti, e rappresenta quei giovani che utilizzano i social media come una piattaforma per esplorare e vivere un’identità online diversa dalla realtà.

Senza social i giovani non si sentono soli

Dai risultati della survey, riferisce Ansa, viene anche sfatato il mito che i teenager si sentano soli senza i social. In una scala da 1 (per niente) a 10 (massimo), il punteggio medio attribuito al ‘timore della solitudine’ è stato solo di 4,3, ed è uno degli ultimi marker per importanza tra quelli considerati. I punteggi più alti, infatti, li hanno ottenuti ‘Mi annoierei’ e ‘Farei più sport’.

Altro dato interessante, è che senza i social la Gen Z sentirebbe la mancanza principalmente di WhatsApp, Instagram, TikTok e YouTube, mentre non soffrirebbe l’assenza di Facebook, ultimo dietro Twitch, Discord e X, a testimonianza della necessità forte di restare in contatto con i propri amici.

Mercato del lavoro, cresce la quota “rosa”

Il rapporto sull’occupazione in Italia, relativo al novembre scorso, mette in evidenza la notevole crescita delle assunzioni femminili. A novembre 2023, l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ha rilevato un totale di 23 milioni e 743 mila lavoratori, sia a tempo indeterminato sia determinato, segnando un incremento del 2,2%, ovvero 520 mila occupati in più.

Quest’ultimo aggiornamento ha portato il tasso di occupazione al 61,8%, con un aumento dell’1,3% rispetto a novembre 2022, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 7,5%.

Occupazione femminile a oltre 10 milioni di unità: è record   

Rispetto all’analisi del mese precedente, condotta a ottobre 2023, si è verificato un aumento dello 0,1% degli occupati. Ma l’aspetto che emerge in modo più significativo riguarda l’occupazione femminile. Dei 30 mila nuovi occupati, ben 24 mila sono donne, tanto da rappresentare l’80% dell’incremento mensile complessivo.
Le donne impiegate raggiungono così la cifra di 10 milioni e 49 mila, con un aumento di 258 mila unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. SI tratta di un record storico in Italia.

Il 2024 potrebbe essere “un anno di crescita”

Confcommercio commenta questi dati affermando che “il 2024 potrebbe essere un altro anno di crescita, seppure non brillante, ma la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è ancora molto lontana dai valori medi europei.” Tuttavia, emerge chiaramente il boom delle assunzioni femminili, dimostrando l’efficacia degli incentivi per favorire l’occupazione delle donne.

Questo record di occupazione femminile è il risultato di un impegno politico protrattosi per diversi anni e sempre più incisivo. Interventi normativi come la Riforma Fornero (2011-2012) e le Leggi di Bilancio del 2021 e 2023 hanno introdotto utili sgravi contributivi per incentivare le assunzioni femminili.

Le agevolazioni per l’assunzione 

Le agevolazioni per l’assunzione di donne si riferiscono a precise categorie e prevedono requisiti specifici. Ad esempio, vi rientrano donne svantaggiate con almeno 50 anni di età disoccupate per oltre 12 mesi, donne di qualsiasi età con una professione o settore caratterizzati da un marcato gender gap occupazionale, e donne residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti UE. La Manovra 2024 ha introdotto la decontribuzione totale per le mamme con almeno due figli, coprendo al 100% i contributi previdenziali fino a dieci anni, azzerando di fatto il cuneo fiscale.
Questa misura è stata presentata come un riconoscimento dello Stato per il contributo delle donne alla società attraverso la maternità.