Idee originali per una festa di compleanno a sorpresa

Sta per arrivare il compleanno di qualcuno a cui vuoi fare una sorpresa? Cerchi idee originali per organizzare una festa di compleanno a sorpresa?

Hai avuto una grande idea! Adesso ti forniremo allora consigli e idee utili per organizzare una festa di compleanno a sorpresa indimenticabile.

Pianificazione

La pianificazione è la chiave per una festa di compleanno a sorpresa ben riuscita. Assicurati per questo di scegliere una data in cui il festeggiato sia disponibile e, se possibile, evita di organizzare la festa il giorno del suo compleanno.

In questo modo, la sorpresa sarà ancora più grande e inaspettata, per questo gradita.

Scelta del luogo

La scelta del luogo dipende dalla personalità del festeggiato. Se è una persona socievole e ama stare in compagnia, organizza tutto a casa o in una sala per feste.

Se, invece, è una persona riservata che ama la tranquillità, organizza la festa in un luogo più intimo come una cena in un ristorante o un picnic in un parco.

Lista degli invitati

Stabilisci chi saranno gli invitati e assicurati di non dimenticare nessuno di importante. Chiedi aiuto ad amici o parenti del festeggiato per individuare le persone più significative, inclusi colleghi di lavoro ed eventuali amici di infanzia.

Pensa a degli inviti originali e creativi per far sapere a tutti della festa a sorpresa. Puoi creare inviti a tema, ad esempio dei biglietti d’ingresso per un concerto immaginario, oppure inviti personalizzati con foto e messaggi divertenti.

L’importante è fare in modo che il festeggiato non venga a saperlo: valuta se sia il caso di utilizzare de moderni inviti digitali così da non avere il problema di dover fisicamente spedire gli inviti cartacei.

Tema della festa

Il tema della festa può essere una buona idea per rendere la giornata più divertente e originale. Scegli un tema in base alle passioni del festeggiato: un tema che si rifaccia agli anni ’80, un tema “piratesco” o “cinematografico”, ad esempio, saranno perfetti per far divertire tutti.

Decorazioni

Le decorazioni sono fondamentali per creare l’atmosfera giusta in una festa ben riuscita. Scegli decorazioni a tema e personalizzate come palloncini, bandiere, festoni, tovaglie e centrotavola che riflettano il tema della festa e la personalità del festeggiato.

Attività

Organizza giochi di gruppo e attività divertenti per mantenere gli invitati impegnati e coinvolti durante la festa.

Puoi organizzare giochi a tema, un karaoke, giochi di gruppo di ogni tipo, una sfida di ballo o una caccia al tesoro. Assicurati di scegliere attività che ritieni siano più adatte all’età e alle preferenze degli invitati, e chiaramente della persona interessata.

Regali

Non dimenticare di fare un bel regalo per il festeggiato. Scegline uno che lo stupisca, che rifletta le sue passioni e i suoi interessi. Individua qualcosa che sia veramente speciale, un regalo personalizzato e unico che sorprenderà il festeggiato.

Cibo e bevande

Non dimenticare di pensare a cibo e bevande per la festa. Scegli un menu che sia adatto ai gusti del festeggiato così come a quelli degli invitati.

Assicurati di avere abbastanza cibo e bevande per tutti i partecipanti, facendo in modo che le bibite arrivino in tavola alla giusta temperatura.

Conclusione

In sintesi, una festa di compleanno a sorpresa indimenticabile richiede sicuramente un po’ di pianificazione da parte tua, ma anche attenzione ai dettagli e creatività.

Fai in modo da non insospettire il festeggiato ed organizza tutto con dovizia di particolari così da non dimenticare nulla di importante, adoperando tutta la tua discrezione.

Con un po’ di organizzazione e fantasia, potrai organizzare una festa di compleanno a sorpresa che il festeggiato non dimenticherà mai.

Lavoro: a febbraio previste 386mila assunzioni

A delineare lo scenario del mercato del lavoro nel 2023 è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal. Secondo il Bollettino sono 386mila le assunzioni previste dalle imprese per il mese di febbraio e 1,2 milioni quelle per il trimestre febbraio-aprile, +68mila rispetto a febbraio 2022 (+21,5%) e +175mila con riferimento all’intero trimestre (+17,1%).

A livello territoriale, 120mila entrate sono previste dalle imprese del Nord-Ovest, al Sud e isole 97mila, al Nord-Est 92mila, e al Centro (76mila). La dinamica positiva della domanda di lavoro delle imprese in questi primi mesi dell’anno si conferma anche confrontando i livelli pre-Covid (febbraio 2019), rispetto ai quali si evidenzia una crescita del 15,6%, pari a +52mila assunzioni.

Maggiori opportunità dal manifatturiero Made in Italy

A febbraio il settore dell’industria programma 132mila assunzioni. A creare maggiori opportunità di lavoro, accanto alle costruzioni (48mila lavoratori ricercati), sono alcune filiere distintive del Made in Italy del manifatturiero, con in testa la meccatronica (22mila), seguita da metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (18mila), alimentare (10mila) e industrie tessili, abbigliamento e calzature, sebbene queste ultime si attestino ancora sotto il livello pre-Covid (-15,2%). I servizi programmano 254mila ingressi, e la filiera del turismo si conferma il traino della domanda di lavoro (56mila). Consistente anche l’apporto del commercio (52mila) e dei servizi alle persone (42mila).

Difficili da reperire 178mila profili professionali

Cresce però ancora il mismatch tra domanda e offerta, che riguarda il 46,2% dei profili ricercati, un valore superiore di circa il 6% rispetto a un anno fa. Sono difficili da reperire 178mila profili professionali: la mancanza di candidati si conferma la principale motivazione del mismatch, +5,4% rispetto al 2022, mentre restano pressoché invariate le altre motivazioni. A risentire maggiormente del mismatch sono le imprese della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (58,5% dei profili ricercati è di difficile reperimento), le industrie del legno/mobile (56,1%), le imprese delle costruzioni (54,9%), le industrie tessili/abbigliamento/calzature (52,1%) e le imprese della meccatronica (51,5%).

Contratti a tempo determinato i più proposti

Per quanto riguarda le figure professionali più difficili da reperire il Borsino Excelsior delle professioni indica specialisti nelle scienze della vita (80,7%), operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni (70,8%), fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (68,5%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (66,7%) e operatori della cura estetica (66,2%). I contratti a tempo determinato sono proposti a 194mila unità (50,3% del totale), seguiti dai contratti a tempo indeterminato (79mila, 20,4%), in somministrazione (44mila, 11,4%), altri contratti non alle dipendenze (31mila, 8,2%), apprendistato (21mila, 5,5%), altre forme contrattuali alle dipendenze (10mila, 2,6%) e contratti di collaborazione (6mila, 1,7%).

Il 50% dei dirigenti italiani non conosce i termini malware, ransomware, phishing 

Nonostante il top management italiano consideri la minaccia di attacchi di cybersecurity il rischio maggiore per le proprie aziende, non riesce a stabilire con precisione le priorità di azione, a causa dell’utilizzo di gergo e terminologia poco chiari per descrivere le minacce. La ricerca di Kaspersky ‘Separati da un linguaggio comune’ rivela che in Italia quasi la metà dei dirigenti C-Suite intervistati (44%) ritiene che gli attacchi di cybersecurity siano il pericolo principale per la continuità del business, prima ancora dei fattori economici (41%) e degli aspetti normativi e di conformità (35%). Ma il 50% dichiara che il linguaggio utilizzato dagli specialisti di sicurezza per descrivere queste minacce rappresenta il maggiore ostacolo alla comprensione dei problemi di cybersecurity più urgenti.

Consapevoli, ma poco formati in cybersecurity

Il 99% degli intervistati C-Suite in Italia è consapevole della frequenza con cui le loro aziende vengono attaccate, e per il 91,5%, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, la sicurezza informatica è sempre, o spesso, un punto all’ordine del giorno nelle riunioni del management e del consiglio di amministrazione. Quando la comprensione della cybersecurity è fondata e completa la C-Suite si trova ad affrontare tre ostacoli all’interno del proprio team di management: la mancanza di strumenti idonei (45%), le restrizioni di budget (43%) e la mancanza di una formazione adeguata in materia (42%).

Il linguaggio poco chiaro è la criticità principale

In molti casi però, la sicurezza informatica non viene del tutto compresa, e nonostante per il 65% sia sempre un argomento in agenda nelle riunioni del board, il 41% degli intervistati ritiene che il gergo e i termini confusi del settore rappresentino attualmente un ostacolo alla comprensione della cybersecurity da parte della C-Suite, e soprattutto, di ciò che si dovrebbe fare al riguardo. Dato che raggiunge rispettivamente il 50% e il 55% tra i Chief Compliance Officer e i Chief Risk Officer, fino ad arrivare alla percentuale record del 60% tra i Chief Marketing Officer, che considerano il linguaggio poco chiaro la criticità principale per una piena comprensione.

Prendere decisioni critiche senza comprendere le minacce

Più in dettaglio, la metà degli intervistati trova confusi i termini base della cybersecurity, come malware (50%), phishing (51%) e ransomware (50%). Inoltre, il 49,5% non comprende appieno anche espressioni più tecniche, come Zero Day Exploit e MD5 Hash.
“Ciò potrebbe indicare, che in molti casi, i dirigenti si trovano nella posizione di dover prendere decisioni critiche per l’azienda senza avere un quadro chiaro del panorama delle minacce e del rischio che rappresentano – spiega David Emm, Principal Security Researcher di Kaspersky -. Senza la possibilità di interpretare i problemi più critici, il linguaggio e la terminologia utilizzati per descrivere le minacce impediscono alle organizzazioni di elaborare un approccio alla cybersecurity, condividere le conoscenze, e in ultima analisi, creare un’intelligence utilizzabile”.

Startup e Pmi innovative: prosegue la crescita demografica 

Secondo il report ‘Startup e Pmi innovative Ict: performance economica’ di Anitec-Assinform e InfoCamere, nel 2022 la crescita demografica di startup e Pmi innovative Ict resta sostenuta. Sono 8.416 le startup con codice Ateco associato al settore Ict registrate a ottobre 2022, con una crescita dell’8,6% rispetto alle 7.749 rilevate al termine del 3° trimestre 2021. Rimane stabile la distribuzione territoriale, con più della metà delle imprese concentrate in tre regioni (Lombardia, Lazio, Campania).
Stabile anche la distribuzione per filone di attività, con quote rilevanti in AI & Machine Learning (12,1%), IoT (10,7%), Mobile app (8,3%), oltre a Big data e Data science (5,1%), Block chain (4,7%), Cloud (3,8%), Industria 4.0 (3,7%). Bassa invece la quota di Spmii Ict in ambito cybersicurezza e crypto (2,2%).

Sviluppo finalmente in accelerazione nel 2021

Gli indicatori di produttività per azienda segnalano un progressivo miglioramento, soprattutto per le realtà attive nei mercati più dinamici, come 4.0 e digital enabler.  Complessivamente, le Spmii Ict con bilancio depositato nel 2021 hanno prodotto beni e servizi per un totale di 2,5 miliardi di euro. La forte concentrazione della mediana su valori ancora inferiori a meno di un quinto della media conferma che una quota sempre rilevante si trova in una fase embrionale di sviluppo. Uno sviluppo finalmente in accelerazione nel 2021 rispetto ai due anni precedenti, come confermato dalle dinamiche di produzione complessiva, media e mediana, in crescita demografica più dinamica nell’ultimo anno, soprattutto nei filoni di attività 4.0 e altre tecnologie e soluzioni digitali.

Performance migliori per le Spmii Ict in ambito digitale

La migliore performance delle Spmii Ict in ambito digitale (4.0, Digital Enabler ecc,) si riflette anche a livello di utile netto, con un valore mediano superiore rispetto alle altre Spmii Ict, che comunque per almeno il 50% chiudono il bilancio 2021 a pareggio o in utile, generando nel complesso il 53% di produzione nel settore Ict-digitale. Nel complesso, riporta Adnkronos, gli indicatori finanziari, da quelli di equilibrio finanziario a quelli di rotazione degli asset a quelli sul potenziale delle risorse di generare valore lungo un arco temporale di più esercizi, denotano una buona capacità delle risorse aziendali di manifestare benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi.

Un segmento effervescente

“I dati – commenta Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform – confermano l’effervescenza del segmento delle Startup e delle Pmi innovative Ict. Queste imprese hanno realizzato maggior valore aggiunto con livelli di produttività migliori, soprattutto nei filoni 4.0 e digital enabler. Hanno mantenuto una sostenibilità finanziaria nel medio periodo, e continuano a generare margine. Le startup e Pmi innovative Ict, che hanno la capacità di creare nuovi prodotti e servizi e di generare nuovi posti di lavoro, si confermano motore di innovazione in ogni settore produttivo e rafforzano il loro ruolo per la crescita economica del nostro Paese”.

Le previsioni APT 2023 e le nuove minacce alla cybersecurity

Le tensioni politiche del 2022 hanno determinato un cambiamento che si rifletterà sulla cybersecurity dei prossimi anni e avrà un effetto diretto sullo sviluppo di futuri attacchi sofisticati.
I ricercatori di Kaspersky hanno presentato le previsioni sul futuro delle Advanced Persistent Threat (APT), definendo i cambiamenti nel panorama delle minacce che emergeranno nel 2023. Che riguarderebbero, in particolare, gli attacchi a tecnologie satellitari e server di posta elettronica, l’aumento degli attacchi distruttivi e delle violazioni, l’hacking dei droni, e una prossima grande epidemia informatica, simile a quella di WannaCry.

Un nuovo WannaCry?

Statisticamente, alcune delle epidemie informatiche più grandi e impattanti si verificano ogni sei/sette anni. L’ultimo incidente di questo tipo è stato appunto il ransomware-worm WannaCry, e i motivi per cui un fenomeno simile potrebbe ripetersi sono che gli attori delle minacce più sofisticate probabilmente sono in possesso di almeno un exploit adatto, e le attuali tensioni globali aumentano notevolmente la possibilità che si verifichi. I cambiamenti più importanti si rifletteranno anche sui nuovi obiettivi e scenari di attacco: il prossimo anno si potranno individuare attaccanti e specialisti abili nel combinare intrusioni fisiche e informatiche, impiegando droni lanciati con dispositivi fisicamente vicini al target.

I server di posta elettronica diventano obiettivi prioritari

Considerato l’attuale clima politico si prevede un numero record di attacchi informatici che colpiranno le PA e i principali settori di mercato. È probabile che una parte non sia facilmente riconducibile a incidenti informatici, ma appaia come un incidente casuale. Altri attacchi assumeranno la forma di pseudo-ransomware o operazioni hacktivist per fornire una copertura plausibile ai veri autori. Anche gli attacchi informatici di alto profilo contro le infrastrutture a uso civile, come reti energetiche o radiodiffusione pubblica, potrebbero diventare obiettivi, così come i collegamenti sottomarini e i nodi di distribuzione della fibra, difficili da difendere.

La nuova moda hack-and-leak

I server di posta elettronica contengono informazioni chiave, quindi sono elementi interessanti per gli attori APT e hanno la più grande superficie di attacco immaginabile. I leader di mercato hanno già affrontato lo sfruttamento di vulnerabilità critiche e il 2023 sarà l’anno degli zero-day per tutti i principali programmi di e-mail. Con le attuali funzionalità e la prova che le APT sono in grado di attaccare i satelliti, poi, è probabile che in futuro i cybercriminali rivolgeranno sempre più l’attenzione alla manipolazione e all’interferenza con le tecnologie satellitari.
Inoltre, la nuova modalità di attacco ibrido sviluppata nel 2022 ha comportato numerose operazioni hack-and-leak. Queste persisteranno anche nel prossimo anno, con gli operatori APT che faranno trapelare dati su gruppi di minaccia concorrenti e diffonderanno informazioni.

Quando serve una linea vita?

Una linea vita è un dispositivo di protezione anticaduta conforme previsto dalla normativa UNI EN 795:2012 sui sistemi di ancoraggio.

Tale norma infatti va a specificare quelli che sono i requisiti che devono essere propri dei dispositivi di ancoraggio, ed in particolar modo quel che riguarda le loro prestazioni e caratteristiche tecniche.

La normativa prevede che tali sistemi di norma debbano essere adoperati soltanto da una persona alla volta e che possano comunque sempre poter essere rimossi dalla struttura nella quale vengono installata.

Mediante tale sistema è possibile tutelare l’incolumità degli operai che lavorano sul tetto o comunque in quota, dato che esso è in grado di impedire le cadute dall’alto e le conseguenze che solitamente queste hanno.

Quando vanno installate le linee vita?

È importante precisare che la normativa intende come lavoro ad alta quota qualsiasi tipo di lavoro che venga effettuato ad una altezza pari o superiore a 2 metri.

È molto importante sottolineare il fatto che tale dispositivo di sicurezza non sia previsto esclusivamente per i cantieri e dunque gli operai che svolgono le proprie prestazioni professionali all’interno degli stessi, ma anche per qualsiasi altro tipo di lavoro che viene svolto in quota anche al di fuori del cantiere.

Pensiamo ad esempio all’installazione dei pannelli fotovoltaici sulla copertura, il rifacimento del tetto stesso o qualsiasi altro tipo di lavoro che riguardi la manutenzione o il controllo ad una quota che vada dai 2 metri in poi.

Che risultati è possibile ottenere grazie alle linee vita?

Grazie alle linee vita, dunque un sistema di agganci disposti sul colmo dei tetti che consentono agli operai di potersi spostare sull’intera superficie del tetto in sicurezza, è possibile offrire un valido sistema anticaduta che impedirà alla persona in questione di precipitare al suolo in caso di perdita di equilibrio.

La persona interessata deve infatti essere dotata di un apposito sistema di imbracatura e che venga assicurato alle linee vita, così da andare a frenare e bloccare qualsiasi tipo di caduta verso il basso.

Grazie a degli appositi dispositivi che fungono da frizione, è possibile fare in modo che l’arresto della caduta sia ancora più dolce e meno invasivo per l’operaio.

Ulteriori vantaggi delle linee vita

Oltre il vantaggio principale già elencato, ovvero quello di andare a salvaguardare l’incolumità della persona o delle persone che hanno necessità di salire sul tetto per qualsiasi tipo di intervento, vi sono ulteriori motivi per i quali una linea vita tetto può rappresentare una ottima soluzione. Ecco di seguito i più importanti.

  • La non necessità di installare delle impalcature: grazie alle linee vita tetto si rende del tutto inutile l’installazione di impalcatura nel caso di lavori sul tetto. Bastano le linee vita infatti a garantire tutta la sicurezza necessaria agli operai, i quali a questo punto non hanno più bisogno di altro tipo di supporti. Ciò è un vantaggio di non poco conto in quanto, come è noto, l’installazione di ponteggi è decisamente onerosa e può incidere notevolmente su un preventivo di spesa che riguardi lavori di qualsiasi tipo sul tetto.
  • Maggiore libertà di movimento: grazie alle linee vita gli operai possono muoversi con particolare disinvoltura sul tetto, senza alcun timore per la propria incolumità e con la certezza di usufruire di un sistema in grado di interrompere tempestivamente una caduta qualora dovesse verificarsi.

Ecco dunque spiegati i motivi per i quali installare una linea vita è indispensabile. Anche in virtù dei vantaggi che tale sistema anticaduta offre, possiamo certamente affermare che essa dovrebbe essere la priorità per chiunque gestisca un cantiere o necessiti di effettuare lavori di manutenzione sul tetto.

L’identikit delle aziende italiane di e-commerce

La pandemia ha fatto compiere all’Italia un salto evolutivo di 10 anni verso il digitale, in particolare sul fronte dell’e-commerce. Nel 2022 gli acquisti online sono stimati in crescita del +14% (45,9 miliardi di euro), rispetto ai 27 miliardi del 2018. Oggi le oltre 70 mila le aziende che vendono online sono costituite principalmente da società di capitali (53,6%), contro un 29,5% di imprese individuali e un 15,2% di società di persone. Si tratta prevalentemente di aziende di piccole dimensioni, con un fatturato che quasi nel 90% dei casi risulta inferiore ai 5 milioni di euro. Nell’80% circa dei casi hanno meno di 10 dipendenti (meno di 5 nel 64% del totale). Sono alcuni dati elaborati dalla piattaforma di marketing intelligence di CRIF, che ha delineato l’identikit delle aziende di e-commerce italiane.

Settori e distribuzione geografica

In questi ultimi anni difficili, queste aziende hanno sofferto meno la crisi: il 31% di società di capitali ha registrato addirittura un fatturato in crescita nell’ultimo biennio, e nel 30% dei casi si tratta di realtà in crescita anche come numero di dipendenti. Il settore di appartenenza prevalente è quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio (51,7% del totale), seguito da attività manifatturiere (17,5%), agricoltura (5%), servizi di informazione e comunicazione (4,6%), e attività dei servizi di alloggio e ristorazione (3,5%).
La localizzazione geografica vede al primo posto la Lombardia (18% del totale), seguita da Lazio (9,9%), Campania (9,5%), Veneto (8,8%) ed Emilia Romagna (8,4%).

Rischiosità commerciale, digital attitude e innovazione 

Da sottolineare anche come le aziende di e-commerce italiane risultino anche più virtuose dal punto di vista della rischiosità commerciale, con una quota di aziende caratterizzate da un livello di rischio molto basso, quasi il doppio rispetto alla media italiana (16,7% del totale vs 9%). Analizzandole sulla base di due score proprietari di CRIF, che misurano la digital attitude e il livello di innovazione, emerge che rispettivamente nel 74% e nel 72,3% dei casi mostrano un grado elevato di digitalizzazione e innovazione.
“Segnali positivi che danno fiducia anche per quanto riguarda la capacità di queste imprese di fronteggiare una situazione economica e geopolitica ancora difficile e incerta”, commenta Simone Capecchi, Executive Director CRIF.

Le Pmi digitali e il PNRR

“Nel contesto del PNRR – continua Capecchi -, lo sviluppo del commercio elettronico delle Pmi in Paesi esteri costituisce uno dei titoli degli strumenti finanziari previsti dal Piano, con contributi a fondo perduto fino al 40% per lo sviluppo piattaforme di e-commerce e di web marketing. E i player finanziari possono giocare un ruolo fondamentale nel supporto alle imprese in questo percorso di sviluppo digitale. Per farlo, è fondamentale una conoscenza approfondita delle imprese stesse, messa a disposizione agevolmente da piattaforme che valorizzino l’intero ecosistema di dati e analytics”. 

Imprese estere in Italia: 19,3% fatturato industria e servizi, e +23,6% occupati

Le imprese a controllo estero in Italia generano da sole il 19,3% del fatturato nazionale del settore industria e servizi, pari a 624 miliardi di euro. E nel decennio 2009-19 il numero degli occupati delle multinazionali estere è cresciuto del 23,6% (+289mila addetti), raggiungendo 1,5 milioni di dipendenti, l’8,7% del totale degli occupati delle imprese a livello nazionale. Le multinazionali estere in Italia sono 15.779, ma se corrispondono solo allo 0,4% del totale delle imprese residenti, rappresentano un driver fondamentale di crescita del sistema produttivo e dell’economia del nostro Paese.  Sono alcuni dati emersi dal report ‘Le imprese estere in Italia e i nuovi paradigmi della competitività’ dell’Osservatorio Imprese Estere, nato per iniziativa dell’Advisory Board Investitori Esteri (Abie) di Confindustria.

In dieci anni +70% di valore aggiunto

Sempre nel periodo 2009-19, le imprese estere hanno registrato un incremento del valore aggiunto di quasi il 70%, passando dai 79 miliardi di euro del 2009 ai 134 miliardi di euro del 2019 (+55 miliardi), con una crescita anche della quota sul totale del Paese, passata dal 12,6% al 16,3%. Significa che le imprese estere hanno contributo quasi al 30% dell’incremento del valore aggiunto nel decennio considerato. Altrettanto rilevante anche l’apporto di queste imprese agli scambi commerciali con l’estero, toccando quasi un terzo (32%) delle esportazioni, e oltre il 46% delle importazioni realizzate dal complesso delle imprese residenti in Italia.

Un investimento pari al 26% della spesa per la ricerca privata

Le multinazionali a capitale estero si distinguono poi per una significativa propensione a investire nel Paese e a innovare, fornendo un importante impulso al settore Ricerca & Sviluppo, grazie all’investimento complessivo di 4,3 miliardi di euro nel 2019, pari al 26% del totale della spesa per la ricerca privata realizzata in Italia. Le imprese estere operano prevalentemente in settori con tecnologia più elevata e partecipano al trasferimento tecnologico da e verso le imprese domestiche, che sono incentivate all’introduzione di nuovi processi produttivi e al miglioramento delle competenze.
Inoltre, spesso assumono il ruolo di lead firm anche sui segmenti della filiera produttiva non direttamente integrati all’interno del perimetro societario. Le maggiori dimensioni e l’appartenenza a Gruppi con sedi in diversi Paesi non solo rendono le multinazionali complementari rispetto al tessuto industriale italiano, ma favoriscono l’internazionalizzazione del sistema produttivo del Paese.

Più resilienti di fronte alle sfide di oggi e del futuro

L’organizzazione manageriale tipica delle multinazionali, riporta Adnkronos, è un fattore particolarmente rilevante ai fini di una migliore capacità di gestione di investimenti complessi. Non sorprende pertanto se grazie al loro assetto organizzativo e alla loro presenza internazionale, le multinazionali si contraddistinguano anche per una forte sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale. Questi elementi, uniti a una naturale disposizione a flessibilità e innovazione, rendono le imprese a controllo estero resilienti di fronte alle sfide di oggi e del futuro: dalla riorganizzazione delle modalità lavorative fino alla transizione ecologica e digitale.

Amazon e l’innovazione di impresa

Utilizzare Amazon come canale di vendita non rappresenta solo uno strumento di sviluppo commerciale, ma anche un mezzo per intraprendere cambiamenti aziendali in termini di strategia, organizzazione e professionalità coinvolte. Secondo lo studio Il contributo del marketplace di Amazon nell’innovazione di impresa, curato da Nomisma, uno dei primi risultati conseguenti all’avvio del rapporto con Amazon è l’adozione di una strategia multicanale, e per il 63% delle aziende l’online è diventato veicolo di vendita primario. Una dinamica che ha influito anche sulle performance di vendita. Se negli ultimi 3 anni l’85% delle imprese ha registrato un incremento del fatturato online, il fatturato totale è cresciuto per il 57% delle imprese che vendono principalmente offline e per l’81% di quelle che puntano in maniera prevalente sul canale online.

Più fatturato ed esportazioni

L’aumento del fatturato è dovuto all’ampliamento del bacino di utenza oltre il territorio nazionale.
A confermare questa espansione sono i dati relativi ai clienti delle aziende, il 26% dei quali localizzato in Paesi europei diversi dall’Italia e il 5% nel resto del mondo. In particolare, la quota dei clienti extra-nazionali è aumentata del 15% rispetto al periodo precedente all’attivazione del rapporto con Amazon.
Con Amazon, poi, le esportazioni sono raddoppiate, passando dal 16% al 32% delle vendite totali. Rimane invariata, invece, la catena dell’approvvigionamento, che resta radicata sul territorio italiano.
La facilità di accesso ai mercati internazionali, tuttavia, non è l’unico elemento ad aver giocato un ruolo importante nella crescita dell’export.

Lo sviluppo del customer service

Le imprese maggiormente orientate verso l’estero hanno infatti anche messo in atto miglioramenti strutturali e competenze, a partire dallo sviluppo di servizi di customer service nella lingua del cliente, ma anche mediante l’introduzione di prodotti più idonei per i mercati di destinazione, e il miglioramento dei metodi di amministrazione, distribuzione e produzione. 
Inoltre, per il 38% delle imprese si è ridotto il tempo tra ideazione e commercializzazione del prodotto, soprattutto per le realtà che hanno saputo sfruttare al meglio il rapporto diretto con i clienti.
Il 55% delle aziende, inoltre, afferma che la collaborazione con Amazon ha contribuito a migliorare il loro servizio e il 51% ha riscontrato un aumento del gradimento dei prodotti da parte della clientela.

Dotarsi di un marchio proprio

Oggi il 53% delle imprese che vendono tramite Amazon detiene un marchio di proprietà: il 23,3% delle aziende che non possedeva un brand ne ha acquisito uno proprio in seguito all’affiliazione. 
Questa decisione nasce dalla necessità di “uscire dall’anonimato”, ma in alcuni è stata decisiva nel determinare l’incremento del fatturato. Inoltre, lo sviluppo di un marchio di proprietà è legato anche all’ampliamento del catalogo dei prodotti (74%). La collaborazione con il marketplace ha portato però anche cambiamenti a livello di personale assunto. Il 47% delle imprese, infatti, ha introdotto nuove figure professionali che probabilmente non avrebbe inserito senza la collaborazione con Amazon.

L’industria farmaceutica in Italia è un settore in buona salute

Il settore farmaceutico italiano è in buona salute: lo si evince innanzitutto dal dato occupazionale, che vanta una crescita ininterrotta dal 2014, pari al 13% in sei anni. Inoltre, nel panorama manifatturiero nazionale il comparto farmaceutico si contraddistingue per una preponderanza di imprese di medie e grandi dimensioni.

“Dal 2008 al 2018, il comparto farmaceutico si è ulteriormente strutturato portando la quota di fatturato delle grandi imprese dal 77% all’82%”, commenta Lucio Poma, coordinamento scientifico Nomisma. La crescita del settore farmaceutico italiano, primo in Europa per numero di imprese coinvolte, rischia però di frenare per la carenza di materie prime e per i colli di bottiglia che gravano su tutta la catena del valore. È l’allarme lanciato dall’Osservatorio sul sistema dei farmaci generici, realizzato da Nomisma per Egualia, già Assogenerici.

Un incremento occupazionale in controtendenza rispetto alla manifattura

Al 2020, nelle imprese farmaceutiche localizzate in Italia sono impiegati circa 67.000 occupati, l’1,7% dei lavoratori del settore manifatturiero.

“Nell’ultimo anno il comparto farmaceutico ha registrato la crescita occupazionale più consistente tra tutti i comparti manifatturieri (+1,8%) – spiega Poma -. Focalizzando l’attenzione sull’ultimo decennio, il comparto è uno dei pochi a segnare un incremento occupazionale. La farmaceutica cresce, infatti, del 3,6%, in controtendenza rispetto alla manifattura”.

Tuttavia, rispetto all’anno precedente il numero è calato del -5,7%. “La flessione del 2020 deve essere interpretata nel contesto della pandemia – aggiunge Poma -, nonostante la flessione che il valore aggiunto farmaceutico ha registrato in valori assoluti, la sua incidenza sul totale manifatturiero è cresciuta dal 3,8% del 2019 al 4,1% del 2020”.

Le imprese del farmaceutico non smettono di investire

Dal 2008 al 2019 il settore farmaceutico ha registrato la maggiore crescita del valore della produzione (+7,1%), in controtendenza rispetto all’andamento manifatturiero complessivo.

“Secondo le stime di Farmindustria – prosegue Poma -, con 2,3 miliardi di euro di medicinali prodotti e una quota sulla produzione totale UE pari al 23%, l’Italia è leader a livello europeo”, davanti a Germania, Francia e Regno Unito.

Inoltre, a differenza di altri settori produttivi, le imprese del farmaceutico non hanno smesso di investire. Nel decennio l’Osservatorio ha rilevato una crescita dell’incidenza degli investimenti farmaceutici sugli investimenti totali manifatturieri di mezzo punto percentuale, dal 2,9% del 2008 al 3,4% del 2019.

Il sesto comparto per valore dell’export nazionale

Dal punto di vista dell’export il settore farmaceutico ha segnato una crescita del +3,8% rispetto al 2019, che lo conferma il sesto comparto per valore dell’export nazionale. Al 2020 le esportazioni del farmaceutico valgono 33,9 miliardi di euro, con un tasso di crescita in dodici anni del +184%.

“La maggiore intensità di crescita delle esportazioni farmaceutiche rispetto a quelle manifatturiere complessive comporta una continua ascesa delle quote di esportazioni di questo comparto sul totale delle esportazioni italiane – sottolinea Poma -. Se nel 2008 le esportazioni di settore pesavano per il 3,4% su quelle manifatturiere, nel 2020 tale valore risulta più che raddoppiato, superando la soglia dell’8%”.